Contro la violenza sulle donne: quando l’aiuto arriva dai medici e dagli infermieri

Il primo ottobre 2023, il Ministero degli Interni ha pubblicato i dati sul femminicidio in Italia: le vittime, a partire dal primo gennaio, erano 90. Di queste, 75 uccise in ambito familiare o affettivo e 47 dal partner o dall’ex. Al 20 novembre, tuttavia, il conto delle vittime era già salito a 106 (dati: Osservatorio Diritti).

I numeri raccontano una vera e propria emergenza: una donna uccisa ogni 2 giorni. I dati continuano ad aumentare anche rispetto al quadriennio 2012-2016, quando sono state registrate oltre 600 vittime.

Purtroppo, il femminicidio è solo la punta dell’iceberg. Il fenomeno della violenza di genere è ancora più diffuso: violenza fisica, verbale e psicologica, alla quale è assoggettato un numero impressionante di donne.

Già i dati Istat 2021 illustravano infatti una situazione fortemente radicata nell’esperienza delle donne italiane: il 31,5% aveva subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale. Secondo lo stesso report, nello stesso anno si erano registrati oltre 11.500 accessi in Pronto Soccorso da parte di vittime della violenza di genere.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che la violenza sulle donne è un problema di salute pubblica mondiale. Due terzi delle donne vittime di una forma di violenza si rivolgono al pronto soccorso o ai centri antiviolenza. Dunque è un problema che riguarda tutta la società.

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne del 25 novembre delineiamo un quadro del fenomeno sociale, dal punto di vista del personale sanitario, chiamato ad assistere le vittime in prima linea.

Come accogliere e curare una donna vittima di violenza che si reca in Pronto Soccorso?

Le donne vittime di violenza non subiscono solo abusi fisici, ma anche psicologici, verbali o morali. Per fare questo, i medici e il personale sanitario di Pronto Soccorso dovrebbero ricevere una formazione specifica, perché essere un chirurgo estremamente abile non è sufficiente per assistere queste persone.

Il personale del triage ha un ruolo critico, perché rappresenta la prima figura che accoglie la donna che ha subito una violenza. II triage andrebbe svolto in una saletta separata ed occorre molta sensibilità nel colloquiare con la paziente.

Sarebbe anche importante avere in triage del materiale informativo per ampliare la consapevolezza delle stesse donne verso ciò che hanno subito. Infatti molto spesso le vittime finiscono per sentirsi colpevoli di ciò che è accaduto.

La formazione è però importante anche per i medici che devono affrontare situazioni complesse. In questi casi il medico deve curare, ma anche migliorare la compliance della paziente e aiutarla a denunciare l’abuso. Per questo sarebbe necessario istituire corsi di formazione specifici per i medici e sanitari impegnati nei punti di Pronto Soccorso, per imparare a gestire la donna anche dal punto di vista psicologico.

Anche in caso di violenza verbale o psicologica, ci si può rivolgere al Pronto Soccorso?

A volte i centri antiviolenza sono sopraffatti dalle lungaggini burocratiche e dal carico di lavoro, per questo le donne disperate cercano assistenza in Pronto Soccorso anche se non hanno ancora subito percosse o lesioni fisiche.

La violenza psicologica o verbale è sempre violenza. Molto spesso sfocia anche in violenza fisica o sessuale. Prendere in carico una donna abusata dal punto di vista psicologico o verbale perciò può determinarne la salvezza, quindi il Pronto Soccorso deve accettare questa richiesta di aiuto.

Spesso le vittime sono accompagnate in PS dagli stessi aguzzini. Esistono parole in codice da dire al triage per chiedere aiuto?

Esistono delle espressioni in codice pensate appositamente per intercettare le donne vittime di violenza senza che l’aguzzino si renda conto della richiesta di aiuto. Una di queste frasi, per esempio, è: “Ho bisogno di una mascherina FFP2”.

Ma affinché questo meccanismo funzioni occorre che il personale del Pronto Soccorso sia formato per capire la richiesta di aiuto e prenderla in carico. La formazione quindi si rivela sempre come l’arma più efficace e più urgente.

Rispetto al passato ci sono nuove politiche a sostegno delle donne vittime di violenza?

Nel 2019 è stata promulgata una buona legge, nota come Codice Rosso, con l'intento di assicurare la giustizia e garantire l’effettività delle norme. Tuttavia, questo avviene solo in parte, perché ci sono notevoli gap che riescono ancora ad impedire l’applicazione del Codice Rosso.

Per esempio, alcune donne non denunciano perché non si sentono abbastanza protette o comprese dalle istituzioni e dai Pronto Soccorso. O ancora, abbiamo donne che denunciano, si recano in Pronto Soccorso e nei Centri antiviolenza, ma i tempi di reazione delle istituzioni sono troppo lunghi e il pericolo resta tale.

Purtroppo assistiamo anche a casi di uomini che vengono allontanati da casa o hanno il braccialetto elettronico con il divieto di avvicinarsi di nuovo alla vittima, ma riescono comunque a raggiungerla e compiere l’omicidio. Ma non funziona più. Forse la politica dovrebbe prendere visione dei numeri aumentati e individuare delle risposte concrete.

Cosa si può fare per aiutare le donne?

La formazione è importante anche per le donne vittime di violenza. In primis, perché comprendano di essere vittime e non colpevoli.
Il senso di colpa è anche alla base di un meccanismo spesso fatale: quello di recarsi all’ultimo appuntamento. Molti degli ultimi femminicidi sono stati perpetrati con la scusa di un ultimo appuntamento. In questa trappola cadono donne di ogni età e di ogni ambiente sociale, anche quelle che lavorano all’interno dei Pronto Soccorso e che conoscono queste dinamiche: è proprio il senso di colpa a spingerle.
Un altro messaggio importante che deve passare, quindi, è di non recarsi mai e poi mai all’ultimo appuntamento con un ex partner violento sul piano fisico, psicologico o verbale.

E per gli uomini che si rendono responsabili di questi crimini efferati, si può fare qualcosa?

Nella maggior parte dei casi, il femminicidio è perpetrato da uomini psicologicamente disfunzionali. Purtroppo, non sempre è possibile recuperare questi individui, ma quando si può è necessario che anche loro siano presi in carico e rieducati psicologicamente, prima che compiano crimini irreparabili. Le politiche oggi dovrebbero intervenire in modo duplice, da un lato rieducando i potenziali aguzzini, dall’altro intervenendo con efficacia e tempestività in caso di denuncia.
1522 – Numero Anti Violenza e Stalking
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