Sansavini: Un grande impegno a servizio delle persone
Intervista tratta da e-Health - n. 85 mar/apr 2022
Una intervista che affronta i temi più stringenti della discussione sanitaria in Italia: dal PNRR, alle prospettive future della sanità post-Covid, dalla digitalizzazione agli investimenti in tecnologia.
Le parole del presidente GVM Care & Research, Ettore Sansavini, sulle pagine di e-Health, rivista bimestrale di innovazione e tecnologia ospedaliera.
Vi occupate a 360 gradi del sistema salute
annoverando realtà ospedaliere, riabilitative,
assistenziali e addirittura parafarmacie.
Un approccio 'olistico' davvero molto interessante.
GVM si è data un modello di business che racchiude al suo interno tutta la filiera della salute nella convinzione che il paziente sia al centro di un percorso di cura inclusivo e personalizzato, offerto in un ambiente in cui anche il comfort diventa componente di valore del percorso e dell’esperienza del paziente per una migliore assistenza. GVM può contare sulle più avanzate tecnologie anche nella digital health e artificial intelligence, con progetti che mirano ad elevare sempre di più gli standard di performance e di sicurezza di cure e trattamento dei dati.
Concentriamoci sulla parte ospedaliera. Quali le vostre specializzazioni?
L’attività degli Ospedali GVM Care & Research da sempre è orientata all’alta specialità, in particolare in ambito cuore: cardiochirurgia, cardiologia diagnostica ed interventistica, aritmologia, senza dimenticare neurochirurgia, ortopedia, trattamento del piede diabetico, chirurgia bariatrica, oftalmologica e urologia, fino ad arrivare ai percorsi oncologici e alla medicina di genere. Molti di questi percorsi sono supportati anche da tecnologie robotiche.
Qual è il vostro ‘fiore all’occhiello’?
Il Gruppo si distingue come uno dei poli di eccellenza a livello internazionale nel percorso cuore con la cardiochirurgia, la cardiologia clinica, diagnostica ed interventistica, l’endovascolare e l’aritmologia, grazie a tecniche chirurgiche mininvasive e innovative e l’utilizzo di device tra i più avanzati oggi presenti sul mercato. Non è poi da trascurare l’importanza attribuita alla formazione continua dei nostri professionisti e l’intensa attività di ricerca clinica e traslazionale in ambito cardiovascolare. Questi elementi, combinati insieme, hanno contribuito a costruire un know-how unico nel suo genere.
Parlare di sanità oggi è inscindibile dalla tecnologia. Quanto conta oggi rimanere al passo?
Gli investimenti in tecnologie sanitarie d’avanguardia permettono di fare prevenzione in maniera più puntuale ed efficace, consentire una minore invasività nei trattamenti chirurgici e approntare una medicina di precisione, in ambito diagnostico, chirurgico e terapeutico. Tutti elementi a vantaggio del percorso di cura e della correttezza nella rilevazione del dato.
I Big Data uniti all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e alla telemedicina permetteranno di facilitare l’interazione tra medico e paziente, incrementando il grado di consapevolezza della propria salute e facendo sì che i pazienti siano non solo informati sulle loro possibilità di cura, ma abbiamo anche un accesso più semplice alle strutture sanitarie.
E i costi sono oggi sostenibili?
Sarebbe molto importante che la spinta all'innovazione fosse adeguatamente riconosciuta attraverso una riattualizzazione delle tariffe che tenga conto di tale elemento, valorizzando l’apporto di innovazione tecnologica attraverso una rimodulazione dei DRG (tariffe del SSN). Credo che l’accesso a cure innovative sia un diritto universale e che spetti alle istituzioni tracciare un cambio di passo che consenta a tutti di accedere a cure.
La remunerazione per le prestazioni svolte è la stessa per pubblico e privato, ma il privato ha un tetto di spesa fisso nel quale devono rientrare, oltre all’Iva, l’ammodernamento delle tecnologie, gli investimenti strutturali e immobiliari, le funzioni supplementari come i pronto soccorso e i rinnovi contrattuali, tenendo conto ovviamente del giusto guadagno per garantire la sopravvivenza delle imprese.
Stesso dicasi per la ricerca, considerata fondamentale, ma spesso un investimento ‘procrastinabile’ anche se forse ora comincia ad intravedersi una leggera (e virtuosa) controtendenza. Lei cosa ne pensa?
Prevenzione e ricerca scientifica sono aspetti su cui è cruciale investire e che non possono prescindere l’uno dall’altra. In GVM Care & Research, come nel suo pay off, la ricerca è fondamentale ed è principalmente focalizzata nell’ambito cardiovascolare. Necessario è il successivo passaggio tra ricercatori e clinici, in modo che i risultati ottenuti dall’attività di ricerca ricadano in più modalità sul paziente.
Avete fama di avere una grande attenzione per la qualità dei vostri servizi e per i vostri pazienti. Quanto è importante considerare la persona al centro del percorso di cura?
Rispondere alla domanda di salute con percorsi personalizzati di prevenzione, diagnosi e cura è la nostra mission da sempre. Il nostro impegno è quello di migliorare il patient journey, migliorando costantemente le attività necessarie all’erogazione delle prestazioni, tempi di accesso, modalità d’erogazione, evitare le criticità e trasformandole in opportunità organizzative. Focalizzare meglio e ampliare i punti di accesso alle informazioni e prenotazioni così da soddisfare le aspettative sempre crescenti dei pazienti. Essere dinamici e flessibili per conformarsi ai continui e rapidi mutamenti determinati dalla domanda sanitaria. Tutto ciò porta a migliore efficienza e naturalmente un ritorno di immagini positivo verso le strutture.
Il Covid, in questo senso ha reso le cose molto più complesse. Come avete affrontato l’emergenza?
A marzo 2020, con l’esplodere della pandemia, è stata data immediata risposta all’emergenza individuando nell’Istituto Clinico Casalpalocco di Roma, l’ospedale Covid da porre in rete con l’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani. In questo periodo sono stati diversi gli episodi di stretta collaborazione tra pubblico e privato con importanti risultati collettivi, e come GVM abbiamo messo a disposizione oltre 60 posti letto di terapia intensiva presso ICC, oltre 120 posti letto di terapia intensiva e oltre 1500 posti letto nelle nostre strutture delle 10 regioni.
Quali i principali problemi che avete dovuto affrontare?
La prima sfida è stata allestire a tempo di record le aree Covid-19 nelle strutture GVM messe a disposizione delle amministrazioni regionali per fronteggiare l’emergenza. Sono stati fatti enormi sforzi a livello strutturale, organizzativo e umano per agire con efficacia ed immediatezza. La carenza sui mercati internazionali di dispositivi medici ha reso molto complessa la gestione dei pazienti ma, grazie ad una rete commerciale forte ed autonoma, siamo riusciti a reperire quanto necessario senza disagi. Fin dall’inizio abbiamo inoltre creato, e con ottimi risultati, percorsi sicuri al personale per evitare il più possibile i contagi, che ci hanno permesso di dare piena continuità al nostro servizio.
Noto, e drammatico, il contraccolpo psicologico che la pandemia ha avuto sugli operatori sanitari che sono stati sottoposti a carichi di stress fuori dal comune. Quale la vostra esperienza?
Grazie alla collaborazione di alcuni psicologi interni, il Gruppo ha attivato un servizio di coaching individuale e supporto psicologico gratuito per tutti gli operatori sanitari e non, che si affianca allo sportello di ascolto già attivo in diverse strutture sanitarie GVM. Tutto ciò ha contribuito a prevenire e alleviare le situazioni di forte pressione psicologica.
Quale la situazione ora?
La quarta ondata ci trova pronti a scendere nuovamente in campo, rafforzati nell’esperienza e nella capacità gestionale. Proprio in questi giorni alcune amministrazioni regionali ci hanno interpellato per mettere a disposizione dei cittadini i nostri posti letto e le nostre terapie intensive e, ovviamente, ci siamo resi disponibili. L’Istituto Clinico Casalpalocco di Roma continua ad essere fin dalla prima ondata il Covid Hospital 3
Domanda di rito: cosa è irrimediabilmente cambiato nel mondo del vostro lavoro in questo mondo (post)pandemico?
È cambiato il modo di concepire l’emergenza e l’organizzazione sanitaria, la gestione della presa in carico del paziente e l’attivazione dei necessari trattamenti. Ma questo non deve assolutamente andare, come già successo, a scapito delle cure ordinarie. Anche durante l’emergenza, ci siamo impegnati molto per garantire le cure ordinarie e di emergenza chirurgica, organizzando ospedali o reparti Covid-free, dando spazio anche ad operatori pubblici per lo smaltimento delle liste d’attesa degli ospedali pubblici. Già oggi GVM sta ampliando le proprie strutture utilizzando una compartimentazione che consenta comunque l’ottimizzazione della funzionalità strutturale in periodi non critici. Tutto questo perché siamo convinti che le eventuali future pandemie siano un problema globale che va affrontato complessivamente sotto tutti i punti di vista. Il PNRR può consentire questo tipo di approccio, mettendo a frutto l’esperienza gestionale già maturata.
Quanto è importante adeguare i percorsi formativi del personale alle nuove esigenze?
Il Covid-19 è stata l’occasione per aggiornare i percorsi formativi orientandoli alla preparedness, basata su un approccio problem-based learning, molto più efficace e adattativo in base all’evoluzione del virus e all’acquisizione di nuove evidenze. Credo che questo criterio rifonderà la metodologia della FAD in quanto l’utilizzo delle tecnologie audio-visive è diventato necessario per la divulgazione medico-scientifica.
Parliamo del futuro. Si discute oggi di una necessità, stringente, di ridisegnare il sistema sanitario. Cosa non funziona nel sistema che abbiamo?
In Italia abbiamo ottimi medici, un’organizzazione sanitaria ad altissimi livelli ma perfettibile, la necessità di meglio contemperare pubblico e privato secondo un principio di concorrenza trasparente e integrazione di sistemi. Il pubblico senza il privato non è in grado di sostenere da solo il fabbisogno; in futuro ancora meno. Occorre ripensare il Sistema Salute nel suo complesso, essendovene tutti i presupposti. Credo che l’Italia dovrebbe rivolgere l’attenzione a quei sistemi sanitari in cui si premia e si incentiva chi si rivolge al privato per alleggerire la pressione sul sistema erogativo pubblico, contribuendo a ridurre le liste d’attesa. In futuro assisteremo ad un ulteriore aumento della domanda di salute grazie all’aumento dell’età media e al conseguente aumento delle cronicità. Come per ogni percorso riformatore, è necessario fare chiarezza sugli obiettivi, sugli strumenti e sui processi. Operare però scelte di breve periodo significa non voler dare una reale svolta ed un’efficace prospettiva ad un Sistema che ci chiederà di cambiare.
Dove, invece, il sistema si è rivelato virtuoso?
Il SSN ha avuto il grande pregio di attivarsi con progressiva ma costante efficacia ed una coerenza di fondo, espressa dal potenziamento strutturale ed organizzativo nel corso della prima, seconda e terza ondata, partendo dalle assunzioni di massa di personale sanitario, aumentando i posti letto di terapia intensiva, pneumologia e malattie infettive anche grazie alla collaborazione con la sanità privata, riqualificando nel contempo i posti letto di semi-intensiva e rafforzando l’assistenza territoriale e i dipartimenti di prevenzione. Inoltre in molte Regioni si è ricorso all’utilizzo momentaneo di beni immobili per la gestione dei contagiati, di incrementare le risorse destinate alla remunerazione delle prestazioni correlate alle particolari condizioni di lavoro del personale dipendente delle aziende e degli enti del SSN direttamente impegnati nelle attività di contrasto al Covid-19. Anche l’adozione e maggiore diffusione del fascicolo sanitario elettronico hanno contribuito a migliorare il rapporto tra SSN, paziente e medici di medicina generale.
Molti parlano di una necessaria ‘rivoluzione’ in campo digitale. Lei è di questo avviso? È della tecnologia che abbiamo bisogno?
Credo che la strada imboccata dopo l’esperienza pandemica sia quella giusta. Occorre supportare la patient experience con strumenti di digitalizzazione dei dati clinici per semplificare l’approccio, il rapporto medico-paziente, agevolando una gestione digitale intuitiva e agile di richieste, prenotazioni e pagamenti. Questo porta inevitabilmente al miglioramento dell’erogazione di servizi grazie all’analisi del comportamento, alla semplificazione delle procedure relative a pratiche di ricovero e dimissione, alla raccolta e archiviazione del dossier sanitario, proteggendo i dati del
paziente e al contempo rendendoli sempre disponibili e organizzati secondo un corretto utilizzo dei big data. La digital health consente di convertire parte del tempo impiegato nella gestione delle attività amministrative a tempo di cura e di ascolto.
Parlando nello specifico di digitalizzazione. A che punto siamo?
La Sanità digitale ha visto diffondersi sempre di più le piattaforme di telemedicina, che possono potenziare e valorizzare i servizi di cura, permettendo di assistere il paziente attraverso un’applicazione efficiente e sicura, a portata di click. La telemedicina è ormai diventata strumento prezioso per offrire continuità di cura, verificare l’aderenza ai piani terapeutici e monitorare gli effetti delle terapie anche su pazienti cronici o che vivono lontani dal centro di cura.
Oggi dobbiamo guardare ancora più avanti: al perfezionamento della chirurgia robotica, all’applicazione dell’intelligenza artificiale, il cui contributo sarà assolutamente decisivo.
Quali opportunità si legano a questa rivoluzione digitale del sistema?
I dati clinici e strutturali in Sanità forniscono una preziosa risorsa negli ambiti della cura, della ricerca e della governance per la definizione di strategie di sviluppo e ottimale organizzazione aziendale, verifica dell’aderenza a protocolli e normative, per lo sviluppo di percorsi diagnostici e terapeutici personalizzati e per massimizzare il lavoro di ricerca.
La centralità del dato. Abbiamo fatto tanto in questi anni. Si potrebbe fare di più?
Il nodo ora è l’interoperabilità, ovvero trovare modalità e soluzioni efficienti per far dialogare i diversi sistemi informatici anche tra Regioni, in cui si trovano i dati, per metterli a fattor comune e cogliere a pieno quelle opportunità offerte da una gestione condivisa delle informazioni.
Altro tema importante e di stringente attualità è la cyber security, gli investimenti in questo senso devono essere mirati a mitigare i rischi di attacchi informatici, che abbiamo visto essere molto concreti negli ultimi mesi.
Apro una parentesi sui modelli organizzativi. Migliorare l’esistente o cambiare strada?
La dimensione organizzativa delle aziende sanitarie oggi risente delle nuove sfide imposte dalla valutazione delle professionalità disponibili, delle nuove tecnologie e della riorganizzazione imposta dalla digital health che potrebbe liberare risorse utili. Se alcuni concetti come la pianificazione strategica, il ciclo di programmazione delle attività, la gestione delle risorse e l’orientamento all’utente, continuano a rappresentare il cuore di un solido modello organizzativo, alcuni problemi strutturali e culturali di fondo della sanità permangono come ostacoli ancora da superare, come ad esempio: il recupero di efficienza nell’uso delle risorse, il miglioramento della qualità dei servizi erogati o una differente valorizzazione e formazione delle professioni sanitarie.
Un nuovo modello per il SSN quale potrebbe essere?
La crisi pandemica ha messo in evidenza la necessità di un sistema di integrazione tra interventi di natura pubblica e interventi di iniziativa privata nel campo della protezione sociale, a partire dal terreno del welfare occupazionale e aziendale. Occorre ripensare il SSN con maggiore apertura alla sanità integrativa che oggi copre una platea di oltre 12 milioni di cittadini. La mutazione della struttura demografica impone una ridefinizione dell’articolazione dei bisogni sociali rispetto alla
quale la sola offerta pubblica risulta inadeguata e che dovrebbe essere sempre più integrata all’offerta privata accreditata e all’insieme degli interventi di welfare integrativo.
PNRR rappresenta un’opportunità unica. Se chiedessero a lei, come investirebbe i fondi?
Credo sia necessario evitare che il PNRR aumenti il differenziale di velocità tra le regioni italiane, in particolare tra nord e sud, istituendo una cabina di regia nazionale che accompagni chi rimane indietro, diffonda le best practice e agevoli la semplificazione dei processi.
È indispensabile che i fondi del PNRR vengano destinati a progetti a matrice pubblica o privata che mirino, e siano veramente in grado, di realizzare ospedali 4.0, oltre a rafforzare aggiornandoli i servizi di medicina territoriale.
Sarebbe auspicabile concentrare i fondi sui progetti collegati alla digital health, all’adeguamento del parco tecnologico degli ospedali pubblici, alla formazione del personale sanitario e all’assistenza territoriale introducendo in maniera diffusa la telemedicina, il teleconsulto e la telerefertazione. Occorre inoltre puntare sulla ricerca nazionale, valorizzando i professionisti che abbiamo, attirandone altri dall’estero, per promuovere la crescita di una nuova generazione di ricercatori.
L’innovazione è un capitolo fondamentale per rinnovare i sistemi sanitari ma rischia di essere compromessa se governata senza una visione strategica, fluida e controllata, che dia risorse migliori anche al privato. Vanno certamente rivisti i tetti di spesa, il payback e il livello di pressione fiscale troppo penalizzante.
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