Psicoterapia e caregiver: gestire lo stress per chi accudisce un malato

Chi si prende cura di un caro è definito con la parola inglese “caregiver”. In generale, questo termine sta ad indicare la figura di riferimento di qualcuno che si trova in una condizione di necessità di accudimento, perché parzialmente o totalmente non autosufficiente a motivo di patologie fisiche o mentali. 
Il caregiver spesso assume questo ruolo inaspettatamente con l'insorgere o l'aggravarsi della patologia di una persona cara, molto frequentemente di un familiare. Si tratta di un ruolo stressante, che può indurre vere e proprie condizioni patologiche come il burnout, la depressione, l’ansia. 
Avere in casa o farsi carico, a vario titolo, di una persona con patologie o disabilità  provoca cambiamenti anche molto profondi che stravolgono abitudini e relazioni non solo della persona da assistere, ma anche dell’intero nucleo familiare, nella vita relazionale e sociale.
Anche il caregiver ha bisogno di assistenza da parte di un professionista: uno psicologo può aiutarlo a gestire in maniera funzionale un compito così faticoso, come ci racconta in questa intervista la dott.ssa Ada Antonelli, psicologa in GVM Care&Research. 

Dottoressa, cosa vuol dire avere una persona con patologie o disabilità in casa e che ha bisogno di assistenza?

In generale, avere in casa una persona da assistere sovverte l’intero sistema familiare, provocando uno tsunami di emozioni nel caregiver principale ma con ricadute anche su tutti i membri del nucleo. Basti pensare che il caregiver è talvolta definito come “secondo paziente invisibile”, perché accumula ogni giorno stress e emozioni negative e generalmente non è a sua volta accudito. Prova impotenza, rabbia, senso di colpa e si sente spesso in dovere di rinunciare alla cura di sé, alle proprie ambizioni e alle relazioni sociali. 
Ovviamente, modi e tempi di accudimento variano a seconda della disabilità e della patologia con la quale ci dobbiamo confrontare. Non ci sono solo le disabilità fisiche, ma anche quelle mentali. Non ci sono solo persone anziane da assistere, ma anche bambini e giovani. Ci sono patologie che invalidano con il tempo, ma ci sono anche disabilità provocate da traumi improvvisi. Quindi occorre non generalizzare, valutare bene il contesto, cercare di capire le risorse e le criticità che presenta, immaginare scenari a breve e lungo termine: nel concreto ogni situazione porta con sé aspetti e problematiche diverse.

Come capire se lo stress del caregiver sta mutando in una vera a propria condizione patologica come il burnout?

Quando si entra in una sfera patologica di burnout si capisce dai segnali. L’insonnia è uno dei primi. Poi insorgono altri meccanismi di difesa, per proteggersi dalla situazione: sono meccanismi di “schermatura”, come per esempio quello di avere un atteggiamento cinico verso la persona da accudire, oppure si verifica una riduzione dell’empatia. Esistono anche casi in cui i caregiver cercano rifugio nell’abuso di alcool o di sostanze.
Le manifestazioni del burnout non sono solo psicologiche, anche il fisico è coinvolto quando il caregiver è soverchiato dal peso della sua condizione: difficoltà di concentrazione, mancanza di appetito, dolori a testa, schiena e pancia, somatizzazioni, ma anche maggiore tendenza ad ammalarsi per il calo delle difese immunitarie. 

Quando bisogna rivolgersi a un professionista per gestire lo stress?

Bisognerebbe rivolgersi al professionista ben prima di arrivare al burnout. L’ideale sarebbe farsi accompagnare dallo psicologo sin dall’inizio del percorso come caregiver. Questo aiuta a evitare sia il burnout sia altre patologie come la depressione e i lievi disturbi dissociativi che spesso di sviluppano in queste situazioni. C’è lo stress, c’è il senso di colpa per non essere più in grado di gestire la situazione, c'è il senso di impotenza, c'è l'angoscia della morte: lo psicologo aiuta il caregiver a non trascurare se stesso, cosa fondamentale per accudire meglio il proprio caro. In generale chi deve assistere un famigliare tende a “strafare”: ma questo non serve a nessuno, soprattutto quando una situazione perdura nel tempo. 

In che modo lo psicologo può aiutare il caregiver a gestire le emozioni connesse al suo ruolo?

Lo psicologo può fare molto, sotto vari aspetti. Il primo è quello di aiutare il proprio paziente ad accettare quello che  è successo e a far fronte ai sensi di colpa che spesso si provano quando si ha una persona da assistere in casa. In qualche modo ci si sente sempre responsabili e in difetto verso un familiare che viene colpito da una malattia o a cui occorrono incidenti che lo rendono non autosufficiente.
Un secondo aspetto è quello di aiutare il paziente a ridurre l’ansia, magari conoscendo meglio la patologia del famigliare da accudire.
Un ultimo aspetto, ma non per importanza, è quello di  aiutare ad accettare le emozioni negative: è per esempio naturale provare frustrazione, stanchezza, lamentarsi, avere rabbia e non bisogna lasciare spazio ai sensi di colpa o all’idea di non essere abbastanza bravi come caregiver.   

E quando il caregiver è adolescente o comunque giovane?

Assumere il ruolo di caregiver comporta fatica, perché è una realtà particolare e nuova che spesso molti giovani non conoscono. Stare a contatto e comunque assumersi la responsabilità di persone con disabilità è un modo per guardare la realtà e accettare che sia fatta anche di queste cose. Tuttavia è cruciale stare vicino ai giovani che si assumono questo ruolo.
Lo psicologo può aiutare il giovane a capire che deve aver cura anche di se stesso. Il giovane caregiver deve sviluppare la compassione  (intesa come un prendersi cura) verso di sé, prima ancora che verso la persona da accudire. A nessuna età, tantomeno durante l’adolescenza, ci si può buttare a capofitto nella cura di un’altra persona senza avere gli strumenti per farlo, si rischia di essere travolti dalle emozioni e sviluppare veri e propri disturbi del comportamento.
Se il giovane è il caregiver principale, deve essere sostituito, deve mantenere i suoi spazi, conservare una vita sociale. Le persone che hanno disabili in casa tendono a perdere queste prerogative per via dei sensi di colpa. Nel caso di adolescenti e giovani è ancora più dura, dal momento che si affacciano al mondo con i loro sogni e i loro progetti e un disagio simile in famiglia potrebbe farli rinunciare. Per esempio, potrebbero rinunciare a cercare lavoro o a terminare gli studi, o a progettare la propria vita lontani da casa o con un’altra persona. Il ruolo dello psicologo è quello di aiutare il giovane e valutare le conseguenze delle decisioni e a scegliere con razionalità e non d’impulso, sull'onda delle emozioni.

Ci sono anche giovani che scelgono di essere caregiver all’interno di programmi o associazioni di volontariato. Ha dei consigli per loro?

Direi che in questi casi è importante la formazione: conoscere la patologia, conoscere i rischi della condizione del caregiver, sapere che non si può essere perfetti in questo ruolo e accettare di sbagliare o stancarsi senza provare sensi di colpa, accettare di essere impotenti. Alcuni ragazzi si lanciano a capofitto in queste esperienze e poi si rendono conto di quanto sia faticoso assistere persone con patologia o disabilità e rinunciano, oppure accusano il colpo a livello psicologico e fisico. Per questo sarebbe importante che lo psicologo accompagnasse i giovani caregiver volontari nel loro coraggioso percorso. In effetti diverse associazioni forniscono supporto psicologico ai propri volontari. 

Ci sono casi in cui il giovane non è il caregiver, ma la persona da accudire. Cosa vuol dire fare assistenza a bambini o ragazzi con disabilità o patologie gravi?

Quando in famiglia ci sono bambini o ragazzi con patologie anche gravi, chi fa assistenza è ancora più esposto alle emozioni negative e forti tipiche della condizione del caregiver.
Anche in questo caso c’è da fare un distinguo in base alla circostanza specifica. Ci sono bambini e ragazzi che hanno bisogno di assistenza perché affetti da sindromi invalidanti come la sindrome di Down, oppure autistici, con patologie mentali o con problemi fisici. Il caregiver corre tra ospedali, centri di assistenza, prende decisioni sulla vita della persona che assiste e in più deve far fronte a incombenze quotidiane: accudire altri figli, lavorare ecc. Qui diventa fondamentale la rete sociale: avere parenti, amici, vicini di casa che possono dare una mano e che aiutino la famiglia a non sentirsi sola. 
Gestire giovani e bambini con problematiche gravi è davvero faticoso. Molte famiglie lo hanno sperimentato durante il lockdown, quando le attività dei centri dedicati sono state sospese e il caregiver ha dovuto affrontare un’assistenza prolungata per mesi, per 24 ore al giorno. Un sovraccarico di tensioni, stress, disagi. Accudire chi accudisce è allora fondamentale perché non sviluppi a sua volta patologie e disagi severi: questo è il compito dello psicologo.
 
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Revisione medica a cura di: Dott.ssa Ada Antonelli
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