Emorroidi e gravidanza: cause e i possibili trattamenti

La gravidanza è un momento di gioia e di attesa, ma anche un grande cambiamento per il corpo della donna, che deve adattarsi a nuove esigenze. Un disturbo molto comune durante la gravidanza o subito dopo il parto è l’infiammarsi delle emorroidi

Cosa sono le emorroidi e come si manifesta la malattia emorroidaria

Le emorroidi sono cuscinetti fibrovascolari che fanno già parte dell’anatomia anorettale. Possono essere sia interne, quindi sopra la giunzione fra ano e retto, che esterne, ovvero al di sotto della stessa. Detengono un ruolo molto importante nella gestione della continenza fecale: a riposo, si riempiono di sangue per assorbire i mutamenti di pressione dovuti a sforzi, mentre durante l’evacuazione il sangue al loro interno viene drenato, facilitando il processo ed evitando traumi alla mucosa. Ma se, al momento dell’aumento della pressione sanguigna sulle pareti delle vene, le emorroidi si dilatano e si infiammano, allora si parla di malattia emorroidaria.
In genere si manifesta con:
  • sanguinamento in seguito all’evacuazione
  • dolore durante la defecazione (più intenso se si tratta di emorroidi esterne)
  • prurito anale
Nei casi più importanti, le emorroidi possono anche fuoriuscire dall’ano prolasso. La presenza della patologia si accerta con l’esame diretto dell’ano, eventualmente anche con anoscopia. Fra le cause dell’aumento di pressione e di conseguenza dell’infiammazione delle emorroidi possono esservi sforzi muscolari frequenti, stitichezza cronica e per l’appunto gravidanza. 

Il legame fra gravidanza ed emorroidi

La stitichezza o stipsi interessa in maggioranza la popolazione femminile e in gravidanza si presenta più comunemente la stipsi resistente ai trattamenti: per questo, essa rappresenta il primo fattore di rischio per lo sviluppo della malattia emorroidaria. Altri fattori di rischio possono essere familiarità e caratteristiche del ciclo genitale, in particolare l’azione di ormoni come il progesterone, l’FSH, la prolattina e gli steroidi. L’incidenza maggiore della malattia emorroidaria legata alla gravidanza si ha nel periodo post-partum, con percentuali che variano a seconda della tipologia di parto: 25% nelle donne che hanno avuto un parto vaginale naturale, 36% nelle pazienti che hanno avuto un parto vaginale assistito e un range fra l’11 e il 16% in quelle che hanno avuto un parto cesareo.  La malattia emorroidaria è spesso connessa alla compresenza di stipsi refrattaria  e parto vaginale traumatico. 

Come trattare le emorroidi durante e dopo la gravidanza
Dal momento che fra i possibili sintomi vi sono proprio il sanguinamento (o rettorragia) e il dolore, è normale che la donna in gravidanza si allarmi alla loro comparsa. Inoltre, nel caso insorga una trombosi locale, la sensazione dolorosa può anche essere molto intensa e influire negativamente sulle azioni quotidiane: questo vale anche se la patologia si manifesta dopo il parto e rende difficili le cure del bimbo. Sebbene quindi la presenza delle emorroidi sia in genere non particolarmente invalidante, è comunque bene affrontarla per non aggiungere una ragione di preoccupazione a uno stato già delicato e complesso. Sia durante che dopo la gravidanza si procede di norma a cure di tipo conservativo, che possano dare sollievo soprattutto dal dolore. Si ricorre quindi alla somministrazione di lassativi nel caso di stipsi refrattaria e se necessario anche a trattamenti topici. La maggior parte delle donne vedono i sintomi diminuire spontaneamente poco dopo il parto: ecco perché si posticipa il più possibile l’eventuale intervento chirurgico. La paziente stessa può positivamente contribuire a un decorso positivo agendo con rigore sul proprio stile di vita. Come per moltissime patologie, a maggior ragione quelle inerenti all’apparato digerente, la dieta è il primo punto su cui soffermarsi per prevenire lo sforzo durante l’evacuazione. Per mantenere l’intestino regolarmente attivo, si deve assumere la giusta dose di fibre alimentari attraverso frutta e verdura, e non consumare cibi astringenti, lassativi oppure irritanti: fra questi, insaccati, spezie piccanti, cioccolato, caffè, tè, pietanze molto grasse e fritte. Per la stessa ragione è fondamentale idratarsi con cura assumendo almeno 1 litro e mezzo d’acqua al giorno, eventualmente da integrare con il consumo di tisane. È inoltre buona norma non prolungare l’atto defecatorio attardandosi in bagno. 
 
A chi rivolgersi?
Questo particolare problema medico coinvolge diverse specialità e competenze: per questo deve essere affrontato con un intervento multidisciplinare, in cui ginecologia, ostetricia e proctologia concorrano al raggiungimento del migliore risultato. Esito che cambia di donna in donna, di gravidanza in gravidanza. È quindi necessario un approccio integrato e basato sulla singola persona, all’interno di strutture ospedaliere che coniughino le competenze specialistiche dei medici e dei tecnici alle tecnologie di ultima generazione. 
 

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