Diabete e ipertensione: a soffrirne di più è il cuore

Spesso siamo portati a pensare che l’infarto e l’ictus sono fenomeni che riguardano principalmente le persone in età avanzata. In realtà la maggior incidenza di queste patologie si riscontra nella fascia d’età che va dai 35 ai 64 anni, con una leggera prevalenza per gli uomini rispetto alle donne. Ad aumentare questo rischio, le statistiche ci dicono che le persone più in pericolo sono quelle che soffrono di diabete e quelle che hanno una pressione arteriosa molto alta, condizione conosciuta come ipertensione.

Che diabete e malattie cardiovascolari siano strettamente collegate tra loro non è un mistero. Anzi, sono molteplici le dimostrazioni del ruolo che il diabete con glicemia fuori controllo - emoglobina glicata (HbAc1) stabilmente superiore al 7% - ha rispetto al rischio di andare incontro a disturbi cardiovascolari.

L’ipertensione è una condizione che si caratterizza per la presenza di elevata pressione, uguale o superiore a 140 mmHg di “massima” (pressione sistolica) e 90 mmHg di “minima” (pressione diastolica), del sangue nelle arterie. La causa di tale condizione è la quantità di sangue che viene pompata dal cuore e la resistenza delle arterie al flusso dello stesso. È comune tra le persone con diabete e rappresenta un fattore di rischio maggiore per la malattia cardiovascolare, oltre che per le complicanze dei piccoli vasi come la retinopatia e la nefropatia.
Nel diabete di tipo 1 l’ipertensione è spesso la conseguenza di una nefropatia, patologia che deteriora la funzionalità renale, mentre nel diabete di tipo 2 può essere presente come parte della sindrome metabolica, che si accompagna a sua volta a più elevate percentuali di malattie cardiovascolari.

Il mantenimento di alti valori pressori nel tempo può determinare danni irreversibili a carico dei vari organi. Innanzitutto, accelera il processo aterosclerotico e quindi facilita la coronaropatia con possibilità di angina pectoris o infarto del miocardio. Sempre a livello cardiaco, l’ipertensione favorisce l’ipertrofia cardiaca, cioè l’ingrandimento del cuore, che alla fine si risolve in una diminuzione della sua forza contrattile e con la sua manifestazione clinica, ovvero lo scompenso cardiaco.

Studi clinici hanno dimostrato gli effetti positivi nei soggetti diabetici - ad esempio riduzione degli eventi coronarici, ictus e nefropatia - dell’abbassamento dei valori pressori sotto i 130 mmHg di sistolica e sotto gli 80 mmHg di diastolica.

Le modifiche nelle abitudini e nello stile di vita sono fondamentali: a parte la riduzione del sale le altre raccomandazioni coincidono con quelle che la persona con diabete già conosce: riduzione del peso corporeo (quando indicato), l’aumento corretto del consumo di frutta, di vegetali e di latticini a basso contenuto in grassi, la diminuzione del consumo di alcolici e l’aumento dell’attività fisica hanno dimostrato essere efficaci nel ridurre i valori pressori nei soggetti non diabetici. Queste misure rappresentano una risorsa terapeutica essenziale nella gestione globale del paziente diabetico.

La riduzione dei valori pressori con terapie farmacologiche basate sull’uso di antipertensivi, di diverse classi come gli ACE-inibitori, gli inibitori del recettore dell’angiotensina, i beta-bloccanti, i diuretici e i calcioantagonisti, si è dimostrata efficace nel ridurre le malattie cardiovascolari. In misura diversa i farmaci utilizzati per l’ipertensione contribuiscono a ridurre l’iperglicemia e le sue complicanze.

Sarebbe opportuno effettuare la misurazione della pressione sanguigna almeno una volta all’anno. Per un buon controllo, questa misurazione, deve far parte dei controlli annuali che una persona con diabete deve fare. In generale grazie a una diagnosi precoce del diabete e una attenta individuazione degli altri fattori di rischio individuale, è possibile ridurre le complicanze del diabete tramite un intervento multifattoriale incentrato su un favorevole stile di vita e sul buon controllo della glicemia.
 
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