Violenza di genere: qual è la situazione in Italia?

Intervista alla Dott.ssa Federica Rocchi, medico del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Carlo di Nancy, specializzata in criminologia e Medicina Forense.

Dott.ssa Rocchi qual è la sua esperienza rispetto al problema della violenza di genere?

Mi sono laureata in Medicina nel 2013 e volevo approcciarmi al mondo delle emergenze: mi ha sempre affascinata il tema del sociale, della criticità e del Pronto Soccorso. Il mio primo lavoro è stato in un centro di Pronto Soccorso metadonico aperto H24 che assiste tutte le persone che hanno problemi di tossicodipendenza. Nell’arco poi di 8 anni, mi sono specializzata come medico anche in carcere, dove ho incontrato una serie di persone che avevano abusato delle proprie compagne o di donne che non conoscevano. Da quel periodo è scattata l’attenzione al tema della violenza di genere, quindi mi sono specializzata con un Master in criminologia clinica e medicina forense e iniziato un percorso sulla violenza di genere. 

All’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma lavoro come medico dirigente di Pronto Soccorso: sono anche Medico Chirurgo. 


Quando parliamo di violenza, sulle donne ma non solo, non ci riferiamo solo alla violenza fisica, ma anche a quella psicologica, verbale, sessuale…

La violenza di genere non è solo violenza fisica ma è soprattutto, all’inizio, violenza psicologica. È una sorta di manipolazione che un uomo - in questo caso - attua nei confronti di una donna fragile, di una donna in quel momento debole e sopraffatta. 
Dalla violenza di genere, che per l’appunto è una violenza psicologica, si passa mano mano ad una violenza fisica, fino, in casi estremi, al femminicidio. 
Diventa un fenomeno di controllo e di possessività a seguito di un rifiuto o di un abbandono (concreto o simbolico) che può essere temporaneo o permanente, da parte di una donna nei confronti di un uomo che può avere anche disturbi di tipo psicopatologico: una depressione di base o essere intriso di frustrazioni profonde. 


Quali sono i numeri della violenza di genere in Italia? 

Secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell’interno, aggiornati al 20 novembre, nel 2022  sono state uccise 104 donne. Di queste, 88 in ambito familiare/affettivo e il 59% è vittima di partner o ex partner.  
I dati, nel 2021 erano ancora più alti: 103 le donne uccise in ambito familiare di cui 69 per mano del partner o dell’ex partner. Un altro numero spaventoso? Ogni 60 secondi viene uccisa o abusata una donna. Questi sono i numeri che crescono sempre di più.


Quante delle donne che arrivano al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Carlo di Nancy dichiarano di aver subito violenza? 

8 donne su 10 non denunciano. Negli ultimi 3 mesi, su circa 100 accessi giornalieri, stimo che 40 siano stati di donne vittime di violenza. Di queste 40 circa 15 hanno dichiarato di aver subito violenza e solo 2 hanno deciso di procedere con la denuncia. 

Il problema è che al momento del triage non tutte confessano di essere state vittime di violenza. Spesso riferiscono invece di aver sbattuto contro la portafinestra e di non essersene accorte, oppure di essere inciampate mentre andavano a prendere il figlio a scuola, oppure di essersi colpite accidentalmente da sole con lo sportello dell’auto.

È difficile rendersene conto se non si ha la giusta capacità di osservazione, e una buona dose di empatia nei confronti della donna che viene per farsi aiutare. In quel momento si sente sola e abbandonata, sia in pronto soccorso che dalla società. 


Qual è il vostro protocollo quando vi rendete conto di avere davanti una donna abusata? 

Oltre ai segni fisici visibili immediatamente, magari sul volto, quando si visita la donna si trovano i segni di altre percosse o vecchi lividi. Anche il comportamento non verbale dice molto: la donna al momento della visita si irrigidisce o si sposta. Ci sono dei segni di difesa che attua, perché magari subisce violenza ogni giorno ed è difficile perciò che si lasci toccare.

A quel punto si cerca di parlare con la vittima, di convincerla a sporgere denuncia - fermo restando che deve essere una decisione presa secondo scienza e coscienza della stessa. In questo caso il medico deve essere accogliente, farle capire che non sta facendo nulla di male. Nel frattempo le si rilascia la cartella clinica e la cartella dell’autorità giudiziaria utile per poter procedere alla denuncia. Qui però ci dobbiamo fermare. 


Cosa si potrebbe fare di più?

La maggior parte delle donne vittime di violenza non denuncia perché si sente abbandonata della società e dallo Stato. Gli anni di pandemia hanno aggravato ancora di più la situazione: nei primi 10 mesi del 2020 i dati parlano di una donna uccisa ogni 3 giorni (Fonte: VII Rapporto Eures sul "Femminicidio in Italia"). 
Per aiutare queste donne servirebbe personale sanitario formato, che possieda gli strumenti per  comprendere il livello di urgenza o emergenza di una donna che viene abusata, picchiata e agire con consapevolezza. 

Poi servono i finanziamenti, per supportare ancora di più i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio che sono realtà preziosissime, ma sono ancora poche e vengono sostenute in maniera non del tutto sufficiente.Se questa rete venisse potenziata, la donna che entra in Pronto Soccorso sarebbe accolta, sostenuta a livello clinico, psicoterapeutico e anche legale. 
Ci sono dei Paesi, come la Spagna, dove il pronto soccorso rappresenta un primo filtro di protezione per queste donne, dove le équipe mediche sono formate ed esistono tribunali dedicati alla violenza di genere in cui l’assistenza alle donne è strutturata e regolamentata. 


Ha dei consigli per tutte le donne che subiscono violenza e che non riescono ancora a chiedere aiuto?

Innanzitutto non bisogna mai minimizzare se una donna dice di aver paura, di essere in pericolo o di essere stata picchiata. Non è mai una sciocchezza il fatto che un’amica ci confidi che il compagno le ha dato uno schiaffo: non sono cose che “possono capitare”. Uno schiaffo, un braccio stretto troppo forte, una mano sul collo, sono segnali di violenza vera e propria che può degenerare.

Bisogna aiutarle ad aprire gli occhi sulla propria condizione: spesso la donna vittima di violenza, inizialmente, sopporta perché si sente colpevole. Ritiene che i comportamenti violenti derivino da suoi atteggiamenti o sue azioni. E questo non ha nulla a che fare con l’estrazione culturale: in Pronto Soccorso ho conosciuto donne manager, con profili dirigenziali, che dicevano di non riuscire a denunciare il marito perché si ritenevano responsabili degli atteggiamenti violenti: o perché lavoravano troppo o perché non si occupavano a sufficienza della famiglia. 

Se accade di accorgersi che un’amica sta vivendo questa condizione si può sostenerla concretamente, ad esempio, offrendosi di accompagnarla a sporgere denuncia oppure invitandola a lasciare il telefono in modalità registrazione mentre si verificano gli episodi di violenza. Registrare o avere un documento che dimostri la gravità del problema è di grande aiuto per la mobilitazione delle forze dell’ordine. 

Un’altra importante informazione da sapere è che per contrastare i numeri di casi di violenza sulle donne, è stato attivato un numero telefonico che le sostenga e aiuti:
 
1522 – Numero Anti Violenza e Stalking 
 
Accoglie con operatrici specializzate le richieste delle vittime di violenza e stalking gratuitamente, sia da rete fissa che mobile. È attivo 24 ore su 24 dall’intero territorio nazionale e l’accoglienza è disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo, arabo, farsi, albanese, russo, ucraino, portoghese, polacco.

Serve per ricevere aiuto o anche solo un consiglio ed è inoltre disponibile anche via chat tramite il sito https://www.1522.eu 

Questo servizio è pubblico e promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità.
 
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